Vermicolazioni

Tranne che nel piccolo tratto che va dalla Sala del Trono alla Grande Sala nel ramo turistico, la Grotta di Pertosa-Auletta risulta essere particolarmente ricca di vermicolazioni. La quasi totalità delle superfici (pareti, volte e stalattiti), infatti, è ricoperta da questi affascinanti depositi, che mostrano svariate morfologie e colori. La loro origine è ancora sconosciuta e la Fondazione MIdA ha sostenuto la ricerca con uno studio di caratterizzazione grazie a diverse collaborazioni con enti di ricerca nazionali ed internazionali. 

Pubblicazione: R. Addesso. 2019. “Vermicolazioni delle Grotte di Pertosa-Auletta. Un brulicare di vita microbica estrema”

Niphargus

In alcune pozze del tratto speleologico, non turistico, della Grotta di Pertosa-Auletta, vive una specie appartenente al genere Niphargus, crostacei anfipodi, la cui morfologia ricorda quella di piccolissimi gamberetti, privi di occhi e depigmentati. È stato condotto uno studio molto interessante sulla cronobiologia della specie Niphargus poianoi salernianus, rinvenuta nella grotta. 

Pubblicazione: Studio sulla ritmicità endogena nell’attività motoria di Niphargus Poianoi Salernianus di  Luisa Auletta, Salvatore Inguscio, Vittorio Pasquali

Animali in grotta

Al contrario di quello che si può pensare, gli ambienti ipogei sono ricchi di organismi che colonizzano sia l’ambiente acquatico che terrestre delle grotte, dai più piccoli, come batteri, alghe e funghi, ai più grandi, come artropodi, anfibi e chirotteri. Il tratto speleologico della Grotta di Pertosa-Auletta ospita una straordinaria biodiversità, per la cui tutela e salvaguardia è stato chiuso all’uomo.  

Comunità microbiche

Gli spettacolari ed affascinanti paesaggi sotterranei costituiscono interessanti nicchie ecologiche per microrganismi estremofili, altamente specializzati e perfettamente adattati a questo ambiente così singolare. Ma perché è importante studiare la microbiologia delle grotte?

Stipe esterna

Le Grotte di Pertosa-Auletta costituiscono un importantissimo giacimento archeologico. Indagate a partire dalla fine dell’Ottocento da Paolo Carucci e Giovanni Patroni, hanno restituito i resti di strutture lignee, unico esempio palafitticolo in grotta sul territorio nazionale, e di reperti databili a partire dall’età protostorica riferibili sia ad attività cultuali, sia ad attività di tipo “abitativo”. All’esterno della cavità sono state recuperate, nella cosiddetta stipe esterna, armi e manufatti metallici legati a forme di culto individuali, databili tra l’età del bronzo e l’età arcaica.

Stipe interna

All’interno della cavità, in un’insenatura situata immediatamente alle spalle dell’edicola micaelica, al di sotto dell’attuale livello dell’acqua, Paolo Carucci individuò negli anfratti della roccia oltre 300 vasi di piccole dimensioni e di manifattura grossolana, interpretati come oggetti d’uso cultuale. Questi vasi miniaturistici trovano confronto in altre cavità italiane e sono spesso associati a pratiche devozionali legate alla fertilità, al latte e alla nascita.

Saggio: M. De Falco, F. Larocca, Il luogo sacro. Aspetti e caratteri dell’utilizzo cultuale della cavità, in Tra Pietra e Acqua

 

Sito archeologico

È possibile ricostruire le fasi di frequentazione della grotta di età protostorica in base ai resoconti di scavo di Carucci e Patroni e alle categorie di reperti portati alla luce. Oltre alla valenza cultuale testimoniata dalle stipi votive, la cavità veniva utilizzata anche a scopo “abitativo”, probabilmente limitato a specifici periodi dell’anno legati alla transumanza e, quindi, al mondo agropastorale. Piastre di cottura, macine, coperchi di bollitoio e grossi recipienti per derrate alimentari testimoniano le attività quotidiane che si svolgevano all’interno della grotta, legate, per l’appunto, all’allevamento di caprovini. I diari di scavo di Patroni, inoltre, restituiscono importanti informazioni circa la struttura delle palafitte, realizzate ad incastro.

 

Edicola di San Michele

La cavità è stata utilizzata a scopo cultuale anche in età classica e in età medievale. In particolare, a partire dall’XI secolo, la grotta, ora intitolata all’Arcangelo Michele, divenne parte dei possedimenti del Monastero di Santa Maria di Pertosa. il culto micaelico si impiantò al posto di una divinità del pantheon precedente, probabilmente di una divinità femminile, legata alla sfera della fertilità e alla potenza iatrica delle acque.

 

 

Le Grotte di Pertosa-Auletta

Il percorso che porta all’ingresso di questa cavità carsica offre una varietà di panorami mozzafiato. La Forra di Campestrino ha un notevole valore paesaggistico e naturale, in essa scorre il fiume Tanagro, qui incanalato dai Borboni con la creazione del fossato Maltempo, per bonificare la valle di Polla. In tempi di piena, sulla sinistra orografica del corso d’acqua, si può assistere all’attivazione di una cascata in parete, chiamata “Il velo della sposa”. La cascata rappresenta uno dei punti d’emergenza di troppo pieno del sistema carsico sotterraneo. Più avanti, all’altezza di un secondo ponte, appare la suggestiva Cascata di Maremanico, dove il Tanagro, uscito dalla forra, supera con due salti un dislivello di circa 10 m, formando un laghetto. Sporgendosi dal ponte si scorgono dei resti di archeologia industriale legati alle acque: sulla destra, una ferriera impiantata all’inizio del ‘900 e più tardi trasformata in cartiera; più in basso, i ruderi di un mulino, già esistente all’inizio del XII secolo. Le Grotte di Pertosa-Auletta si estendono per una lunghezza totale di circa 3000 m. Il tratto iniziale, invaso dalle acque del fiume sotterraneo Negro, si percorre a bordo di una piccola barca che si inoltra lentamente nelle viscere della terra. Si approda in un punto da cui si snodano tre diramazioni parallele tra di loro, ognuna delle quali possiede delle peculiarità morfologiche molto distinte. In generale, l’evoluzione di una grotta si distingue in 3 stadi, ed il complesso carsico delle Grotte di Pertosa-Auletta rappresenta un ottimo sito per osservare le varie fasi evolutive:

  • nello stadio giovanile, la cavità è perennemente invasa dall’acqua (es. Ramo della sorgente o meridionale), che modella e corrode le rocce che attraversa;
  • nello stadio maturo, la presenza dell’acqua è stagionale ed è suscettibile al clima. I depositi chimici iniziano così a formarsi (es. Ramo speleologico o mediano);
  • nello stadio senile, l’acqua è assente e prendono vigore gli speleotemi; questi potrebbero portare, un giorno, al totale riempimento della cavità (es. Ramo turistico o settentrionale).

Pubblicazione: S. Cafaro, S. Bravi. 2014. “Tesori ipogei: alla scoperta delle Grotte di Pertosa-Auletta”

Massiccio degli Alburni

Le rocce che costituiscono il rilievo si sono formate in ambienti sedimentari marini chiamati Piattaforme Carbonatiche. Erano aree vaste centinaia di chilometri quadrati, coperte da mare poco profondo, con zone emerse nella porzione più interna e con margini esterni bordati da barriere coralline degradanti verso fondali profondi. Queste rocce sedimentarie sono formate da depositi di origine prevalentemente biogenica, derivanti dall’accumulo di parti dure di organismi a scheletro calcareo o dalla precipitazione di carbonato di calcio indotta dall’attività di organismi viventi.  Circa 24 milioni di anni fa, Africa ed Europa si scontravano e l’Italia peninsulare iniziava ad emergere dalle acque. Le rocce calcaree allora iniziavano a fratturarsi, pressate dallo scontro tra i continenti. L’antico fondale, ormai quasi tutto serrato nella morsa tra Europa e Africa, si divideva e si accavallava su se stesso fino a raggiungere spessori di migliaia di metri e quote fino a circa 2000 m sul livello del mare. Una volta abbandonate le acque, l’ammasso roccioso, fratturato, smembrato e deformato, era ormai divenuto parte integrante dell’Appennino meridionale. Già milioni di anni fa l’acqua piovana penetrava nelle fratture delle rocce, disciogliendole ed approfondendole. Proprio la presenza delle rocce di cui è costituito il Massiccio dei Monti Alburni, riconducibili al dominio paleogeografico della Piattaforma Appenninica, ha reso possibile la genesi e lo sviluppo di un processo carsico così importante. A parità di altre litologie, infatti, le rocce carbonatiche sono molto solubili nell’acqua, che, arricchita con l’anidride carbonica (presente sia nell’aria che nel suolo), diventa debolmente acida e riesce a disciogliere, ed in parte a corrodere, il carbonato di calcio. In tempi più o meno lunghi si creano forme carsiche superficiali come doline ed inghiottitoi, che permettono all’acqua di infiltrarsi nel sottosuolo e di continuare il suo lavoro di dissoluzione anche in sotterraneo.

Il fiume Negro

Le Grotta di Pertosa-Auletta in termini “tecnici” rappresentano una risorgenza carsica, ovvero è il punto in cui l’acqua viene a giorno dopo aver fatto un più o meno complesso percorso all’interno del massiccio carbonatico. La diramazione meridionale, viene chiamata “Ramo della Sorgente”, è l’unico ramo attivo della cavità. In esso scorrono perennemente le acque del fiume Negro, chiamato così proprio perché è reso “buio” dall’ambiente ipogeo che lo accoglie. 

Rocce calcaree

La Grande Sala: in essa sono presenti abbondanti concrezioni, come colonne di grandi dimensioni e cortine. Sono ben visibili anche gli strati calcarei e le varie fratture che hanno interessato le pareti. Sulla sinistra, è presente una serie di laghetti. L’interazione tra piani di strato e fratture ha prodotto dei crolli, che in alcuni casi hanno messo in comunicazione i vari rami. Poco prima di abbandonare la Grande Sala, si osservano, sulla destra, dei depositi (riempimenti fisici) rappresentati da ciottoli ben arrotondati. L’arrotondamento indica che questo materiale è stato trasportato dalle acque e le dimensioni variabili fanno capire che l’energia con cui erano trasportati è stata diversa: dimensioni maggiori dei ciottoli sono indice di un’alta energia di trasporto, mentre dimensioni minori suggeriscono un’energia più contenuta. L’ultimo settore del Ramo turistico è anche quello più affascinante: la Sala delle Spugne. Un tempo raccoglieva le acque di una delle due grandi doline di crollo presenti in superficie proprio in corrispondenza di questo ramo. Questo affascinante ambiente è costituito da una serie di vaschette, ormai fossili, che sulle pareti presentano dei bianchi cristalli di calcite. L’acqua ha dato origine a queste morfologie in maniera simile alle barriere. Il gocciolamento, dalla volta nelle vaschette piene d’acqua faceva schizzare sulle pareti il carbonato di calcio, dando così a queste concrezioni l’aspetto di spugne, da cui il nome. La grotta continua per 50 m circa e chiude nei crolli della volta, causati dall’intersecazione di strutture tettoniche che ne hanno indebolito la volta che così ha per il momento messo una fine all’esplorazione della cavità stessa.